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Per Aspera Ad Veritatem n.11
Sentenza in materia di "opposizione del secret défense al Giudice Istruttore da parte di un testimone appartenente alla D.S.T." - Parigi, Chambre d'Accusation, 27.05.1987




Procedura penale - Giudice Istruttore, Testimone, Funzionario appartenente alla Direction de la Surveillance du Terrritoire (D.S.T.), Segreto professionale, Secret défense (sì) - Parigi, 27 maggio 1987.

Il secret défense può essere opposto al giudice istruttore da un testimone appartenente alla D.S.T. (1).

Parigi, Chambre d'Accusation, 27 maggio 1987 - (Chalier e altri) - Signora Pascal, Presidente - Andréani e Pieri, Consiglieri - Chauvy, Avvocato Generale - De Roux, Triet, Dewynter, Bignon e Metzner, Avvocati - Appello Tribunal de Grande Instance di Parigi, ordinanza giudice istruttore, 3 febbraio 1987.

(1) Nell'affermare che un testimone, membro della D.S.T., può, davanti al giudice istruttore, trincerarsi dietro il secret défense, la sentenza sopra indicata risolve un problema che, particolarmente sulla stampa, ha suscitato scalpore e polemiche. La sentenza è ancor più importante in quanto la causa non è completamente apolitica ed è la prima sentenza emessa in materia. Una ricostruzione dei fatti, del resto complessi, s'impone prima che possa essere condotta la discussione in diritto.


I. - Un individuo è accusato dal giudice istruttore di Parigi di falso in documenti amministrativi e di rilascio illegittimo di documenti amministrativi (artt. 153 e 154 c.p.). In seguito ad alcune informazioni, il giudice è indotto a convocare, in qualità di testimone, il Direttore della D.S.T. per avere chiarimenti sulla redazione di questi documenti e sulla loro consegna all'imputato, che ne era stato trovato in possesso al momento dell'arresto, in data 16 novembre 1986.
Tuttavia, il funzionario della D.S.T. dopo aver ottemperato alla convocazione e prestato giuramento, rifiuta di dare spiegazioni e invoca il secret défense (audizione del 9 dicembre 1986). Il 12 gennaio 1987, il magistrato istruttore trasmette una lettera al Ministro dell'Interno nella quale espone la necessità che il Direttore della D.S.T. spieghi le circostanze circa la compilazione e la consegna di questi documenti; chiede anche di precisare se gli elementi di risposta siano, a suo avviso, coperti da secret défense. Il Ministro risponde, il 19 gennaio 1987, legittimando il silenzio opposto dal Direttore della D.S.T., poiché accettando di deporre, quest'ultimo "sarebbe suscettibile di attentare all'interesse della difesa nazionale nel caso in cui vengano rivelati informazioni, procedure e nominativi di persone che collaborano a missioni di controspionaggio alle quali sono chiamati a partecipare"; il ministro aggiunge, in modo ancora più preciso, che "gli elementi di valutazione di cui dispone, gli consentono di considerare che tali rivelazioni rappresenterebbero un pericolo grave per il funzionamento del Servizio della D.S.T.".
Non volendo, tuttavia, accettare ciò il giudice istruttore, rimette con propria ordinanza in data 20 gennaio 1987, le risultanze dell'istruttoria al Procuratore per l'irrogazione al testimone reticente delle disposizioni dell'art. 109, co. 3, c.p.p., che consentono di condannare ad un'ammenda qualsiasi testimone che si rifiuti di deporre. Con richiesta del 2 febbraio 1987, il Pubblico Ministero chiede al giudice istruttore di affermare che il secret défense è stato opposto secondo diritto. Tuttavia il giudice, persistendo nel suo atteggiamento, l'indomani emette un'ordinanza nella quale afferma l'insussistenza del secret défense.
A sostegno di tale tesi il giudice invoca diverse argomentazioni e segnatamente l'assenza di un testo che preveda una esenzione dalla testimonianza nei confronti delle persone che possono invocare la sussistenza del secret défense, come anche il fatto che la redazione e la consegna di documenti all'imputato non possa essere riconducibile al quadro delle attività della D.S.T., la cui attività viene esercitata unicamente all'interno del territorio nazionale.
Il giorno stesso in cui viene emessa tale ordinanza, il Procuratore interpone appello.
Nella sua requisitoria scritta, il Procuratore generale conclude con l'annullamento dell'ordinanza e chiede alla Chambre d'Accusation di dichiarare che il secret défense è stato validamente posto.

II. - Rispondendo favorevolmente alla requisitoria del Procuratore, la Chambre d'Accusation di Parigi, nella sua sentenza del 27 maggio 1987, agisce secondo diritto?
Il principio generale, formulato all'art. 81 c.p.p., prevede che il giudice istruttore adotti tutti gli atti informativi ritenuti utili per il perseguimento della verità. è pur vero che lo stesso testo introduce una riserva con la frase incidentale "conformemente alla legge". Più precisamente, se il giudice può chiamare chiunque a testimoniare davanti a sé, d'altra parte, chiunque può opporre il segreto professionale (art. 109, co. I, in fine c.p.p.). Ed è noto che una giurisprudenza copiosa e consolidata dispensa i "confidenti necessari" dal deporre in giudizio: come nel caso dei medici (Crim. 5 giugno 1985, D. 1986, I.R. 120 e obs., in cui sono state citate altre sentenze). Si pone allora il problema di sapere se questa esenzione dalla testimonianza possa essere consentita anche ai funzionari della D.S.T.
Dinanzi all'assenza di precedenti giurisprudenziali, la sentenza del 27 maggio 1987 procede ad una dimostrazione rigorosa e incentrata su due punti: i funzionari della D.S.T. sono, secondo una regola di carattere generale, assoggettati al secret défense - considerato assimilabile al segreto professionale - e, in caso affermativo, a quali condizioni possono opporlo al giudice istruttore?
a) Per dimostrare che i funzionari della D.S.T. sono tenuti al segreto, la sentenza invoca due argomenti che possono essere presentati come segue.
Da una parte, il decreto n. 82-1100 del 22 dicembre 1982 relativo alla direzione della Sourveillance du Territoire (D. 1983.27), richiama l'art. 1, co. 2, con il quale si afferma che la competenza della D.S.T. afferisce alla difesa nazionale. Ora, la divulgazione da parte del depositario di un'informazione che deve essere tenuta segreta nell'interesse della difesa nazionale, costituisce reato di attentato alla sicurezza dello Stato (artt. 72 e 75 c.p.), vale a dire un atto punito in modo assai più grave rispetto alla violazione, sancita dall'art. 378 c.p., di un banale segreto professionale che prevede solo modeste sanzioni. Ciò posto, gli atti degli agenti della D.S.T. devono essere considerati come atti ai quali la legge, nell'ottica di tutela di un interesse generale e di ordine pubblico, ha conferito un carattere riservato. La giurisprudenza stabilisce, infatti, che l'art. 378 c.p. concerne "tutti i fatti venuti a conoscenza di una persona nell'esercizio della sua professione, ai quali la legge, nell'ottica di tutela di un interesse generale e di ordine pubblico, ha conferito carattere riservato ovvero nel caso in cui questi stessi fatti sono stati confidati sotto il vincolo del segreto in ragione della professione esercitata" (Crim. 7 marzo 1957, Bull. crim., n. 241, p. 428). L'agente della D.S.T. è dunque tenuto al segreto professionale.
L'argomentazione, per la logica convincente, sembra incontrovertibile. La sola debolezza, a prima vista, risiede nel fatto che il ragionamento si richiama ad un testo regolamentare. è necessario, però, precisare che l'organizzazione di un Servizio complesso come la D.S.T. non può essere prevista se non da testi regolamentari.
D'altra parte, due pareri del Consiglio di Stato, in data 19 luglio 1974 e 29 agosto 1974, equiparano secret défense e segreto professionale. Secondo il parere del 19 luglio 1974 "chiunque detiene un segreto concernente la difesa nazionale è tenuto a non divulgarlo e tale obbligo deve essere opposto anche in sede giurisdizionale. Qualsiasi persona citata deve rispondere alla convocazione, ma deve, se ha luogo, opporre a qualsivoglia investigazione il segreto concernente la difesa di cui è detentore, sia di propria iniziativa che su ordine dell'autorità responsabile".
Questa seconda argomentazione è più debole rispetto alla precedente. In effetti è dubbio se le giurisdizioni penali siano tenute ad accettare il parere di una giurisdizione amministrativa, fosse pure la più prestigiosa di questo ordine.
Ciò nondimeno dal punto di vista della prima argomentazione il conflitto tra l'obbligo di testimoniare (art. 109 c.p.p.) e quello di tacere nell'interesse della difesa nazionale (Decr. 22 dicembre 1982, art. 1, co. 2, e artt. 72 e 75 c.p. combinati) deve risolversi in favore del secondo. La dottrina ha criticato spesso la giurisprudenza che ritiene di far prevalere il segreto sulla divulgazione quando il dibattito diviene giurisdizionale (v. ad es. nota R. Savatier sotto Crim. 22 dicembre 1966, J.C.P. 1967.II.15126) e riteniamo, a nostro avviso, che il dovere di testimoniare dovrebbe prevalere in questa sede. Questo ragionamento, tuttavia, concerne casi in cui sono in gioco interessi privati anche se connessi all'esercizio di una professione. Al contrario, quando è in gioco la difesa di uno Stato, l'interesse tutelato è ancor più importante ed è per questo che il rifiuto a deporre risulta legittimo, divenendo un reato la deposizione stessa. L'interesse dello Stato, della Nazione nella sua globalità, deve essere considerato l'interesse supremo. Il Legislatore francese non ha forse trattato nella parte speciale del codice penale la questione degli attentati alla sicurezza dello Stato prima di tutti gli altri?
b) Pur essendo gli agenti della D.S.T. in generale esentati dal testimoniare in giudizio, è necessario che al giudice venga, nel caso di specie, assicurata la legittimità del segreto nel momento in cui quest'ultimo gli viene opposto.
Secondo quanto disposto dal decreto n. 81-514 del 12 maggio 1981 (D.1981.247), le informazioni concernenti la difesa nazionale sono classificate in tre categorie: très secret défense, secret défense, confidentiel défense (art. 2). La menzione secret défense è riservata alle informazioni la cui divulgazione è atta a nuocere alla difesa nazionale e alla sicurezza dello Stato (art. 5). E spetta a ciascun ministro competente organizzare la protezione delle informazioni, oggetto di diffusione limitata (art. 6).
E' esattamente quello che si è verificato nel caso di specie. Il Ministro dell'Interno ha valutato - ed egli è il solo a poterlo fare - le esigenze imposte dalla difesa nazionale e la risposta che ha fornito al giudice istruttore è assimilabile alla classificazione secret défense.
La decisione del ministro può essere considerata illegale? Certamente no, poiché nessuno dei quattro casi previsti dal ricorso per annullamento è applicabile. In primis, il Ministro è competente (Cf. Decr. 12 maggio 1981, art. 6). Non si rinvengono poi vizi di forma: in effetti, poiché l'atto sul quale è stato opposto il secret défense è una décision ministérielle sotto forma di lettera, si tratta sicuramente di un atto amministrativo. Non vi è violazione di legge, poiché i motivi che hanno indotto il Ministro ad opporre il secret défense non sono inficiati da alcun errore di diritto o di fatto: nessun errore di diritto in ragione dell'art. 75 c.p., nessun errore di fatto, poiché il Ministro è rimasto nell'ambito delle questioni poste dal giudice. Infine, non vi è sviamento di potere poiché il Ministro non utilizza i suoi poteri per un interesse privato contrario all'interesse pubblico ovvero per un interesse generale diverso da quello protetto con il secret défense. In tal modo, l'Amministrazione ha esercitato nell'interesse generale un suo potere discrezionale. La sua decisione è legittima e non è dato ad alcuna giurisdizione apprezzarne l'opportunità.
In conclusione, la Chambre d'Accusation ha avuto ragione, a nostro avviso, ad annullare l'ordinanza del giudice istruttore che negava l'apposizione del secret défense. Essa non ha dovuto decidere, in compenso, sulla condanna all'ammenda prevista dall'art. 109 c.p.p. nei confronti del direttore della D.S.T., poiché essa era stata adita solo per la questione relativa al secret défense.



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